Uno dei principali obbiettivi della ricerca in campo oncologico è trovare il modo di aumentare la quota di persone che possono beneficiare dei trattamenti immunoterapici. Un aspetto da non trascurare affatto è lo studio delle caratteristiche del tumore e del suo microambiente. In particolare di come le cellule cancerose riescono ad evadere la risposta immunitaria.

In questi anno abbiamo capito che all’utilizzo dei classici immunoterapici occorre integrare una strategia per togliere quel “velo” che il tumore utilizza per non farsi riconoscere. Per farlo sono in fase di sperimentazione diversi approcci che prevedono l’utilizzo della chemioterapia, prima della somministrazione dell’immunoterapia, in modo tale da cambiare le caratteristiche del tumore e renderlo più facilmente riconoscibile. Un altro approccio molto simile, studiato da Fondazione NIBIT, è quello dell’utilizzo dei farmaci epigenetici come la guadecitabina, molecola capace di determinare modificazioni nel Dna delle cellule tumorali per poterne modularne l’espressione genica. In questo modo il tumore comincia ad esprimere sulla superficie molecole che hanno un ruolo fondamentale nell’interazione con il sistema immunitario. Successivamente il tumore, reso maggiormente visibile dalla guadecitabina, viene attaccato dal sistema immunitario stimolato opportunamente dall’immunoterapia.

Al recente congresso ASCO di Chicago, il più importante appuntamento mondiale dedicato alla ricerca clinica in oncologia, è stato presentato uno studio della professoressa Anna Maria Di Giacomo di Fondazione NIBIT, in cui per la prima volta nell’uomo è stato sperimentato un approccio alternativo per modificare l’ambiente tumorale in modo tale ripristinare l’efficacia della risposta immunitaria contro il tumore. “Nello studio -spiega la Di Giacomo- abbiamo utilizzato una molecola sperimentale (IOA-244) con l’obbiettivo di interferire con PI3Kδ, un importante meccanismo di comunicazione interno alla cellula. La molecola in questione, oltre ad avere un’attività antitumorale, ha la caratteristica di inibire la risposta di alcune cellule del sistema immunitario che hanno funzione regolatoria negativa, ovvero spengono la risposta immunitaria. Le prime analisi hanno confermato il razionale di questo approccio, ovvero che inibire PI3Kδ potrebbe essere utile per migliorare l’effetto dell’immunoterapia”.