L’immunoterapia ha rivoluzionato il trattamento del melanoma metastatico. Non tutti però riescono a beneficiare di tale approccio: in quei pazienti che sviluppano metastasi cerebrali silenti non esiste ancora una terapia in grado di fare la differenza. Una situazione che presto potrebbe cambiare grazie ai risultati di uno studio, pubblicato sulle pagine della rivista Clinical Cancer Research, coordinato dalla professoressa Anna Maria Di Giacomo del CIO (Centro di Immuno-Oncologia), diretto dal Prof. Michele Maio presso l’Azienda ospedaliero-universitaria Senese (AOUS), e supportato dalla Fondazione NIBIT e dalla Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro. Secondo quanto ottenuto, la combinazione di ipilimumab più nivolumab è in grado di migliorare significativamente la sopravvivenza a lungo termine rispetto agli standard di terapia attuali.

La sfida delle metastasi cerebrali silenti

Il melanoma metastatico è il primo tumore che ha beneficiato dell’avvento dell’immunoterapia. Se prima dello sviluppo degli immunoterapici la sopravvivenza media a 5 anni dalla diagnosi era del 5% con la sola chemioterapia, oggi grazie alla combinazione di più farmaci immunoterapici si è arrivati al 50%. Un risultato straordinario di cui non tutti però possono beneficiare. E’ questo il caso dei pazienti con metastasi cerebrali silenti. “Ad oggi -spiega la professoressa Di Giacomo- si calcola che circa il 30-40% delle persone con melanoma metastatico sviluppi metastasi a livello del sistema nervoso centrale”. “Purtroppo – continua Maio – questa caratteristica è associata ad una ridotta aspettativa di vita e negli anni l’immunoterapia, per il suo meccanismo d’azione, non è mai stata considerata una valida strategia per arrivare a colpire il sistema nervoso. Non solo, i trattamenti attualmente disponibili non sono in grado di incidere significativamente sul decorso della malattia. Per questa ragione il trattamento delle metastasi cerebrali silenti rimane una delle principali sfide nei pazienti con melanoma”

Lo studio

Recenti studi sul microambiente tumorale stanno però cambiando quel paradigma che considerava l’approccio immunoterapico poco utile nel trattamento delle metastasi cerebrali. Partendo da questa considerazione negli ultimi anni sono stati sviluppati clinical trials volti a testare l’utilizzo dell’immunoterapia anche nei pazienti con melanoma e metastasi cerebrali silenti. Lo studio supportato dalla Fondazione NIBIT e dalla Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro, coordinato da Siena e condotto in collaborazione con altre 8 istituzioni italiane, è il primo al mondo di fase III che ha dimostrato l’efficacia della combinazione di ipilimumab e nivolumab nei pazienti con metastasi cerebrali asintomatiche o non pre-trattate. “L’obiettivo del trial -continua la Di Giacomo – era quello di comparare tre differenti strategie: quella standard -attraverso la somministrazione del chemioterapico fotemustina-, la combinazione di fotemustina e ipilimumab e la combinazione di ipilimumab e nivolumab”. Dalle analisi, effettuate su 96 pazienti divisi in tre gruppi a partire da gennaio 2013 a settembre 2018, è emerso che la combinazione ipilimumab e nivolumab è stata in grado di migliorare significativamente diversi parametri tra cui, il più importante, la sopravvivenza a lungo termine, rispetto alle altre due strategie di cura testate.

In particolare, andando ad osservare la sopravvivenza a 5 anni dall’inizio del trattamento, la percentuale di pazienti in vita è stata del 41% utilizzando la combinazione dei due immunoterapici (11% con fotemustina, 10% con fotemustina e ipilimumab).

Cambiare la pratica clinica

Un risultato, quello ottenuto al CIO di Siena, che rappresenta la prova attraverso cui un’opportuna strategia di combinazione di più immunoterapici con target differenti cambia la prospettiva di vita dei pazienti con metastasi cerebrali. “Quanto ottenuto è perfettamente in linea con l’efficacia che si registra utilizzando la medesima combinazione nei pazienti con melanoma metastatico senza metastasi cerebrali. Una prova ulteriore della bontà della strategia utilizzata. Ora, in base ai risultati del trial, auspichiamo che l’indicazione a sottoporre questi pazienti alla combinazione venga recepita dalle autorità regolatorie. Questo approccio ha infatti dimostrato di poter cambiare la pratica clinica corrente e la vita dei malati” conclude la Di Giacomo.